“Transumanismo”, ovvero, l’eugenetica ai tempi della bio-cibernetica
L’introduzione del termine “transhumanism” nel lessico europeo risale al biologo evoluzionista Julian Huxley che, in Religion without Revelation (1927), scriveva:
“La specie umana può, se lo desidera, trascendere se stessa – e non solo sporadicamente, un individuo qui, in un modo, un individuo lì in un altro modo – ma nella sua interezza, in quanto umanità. Abbiamo bisogno di un nome per questa nuova fede. Forse servirà il termine transumanesimo: l’uomo che rimane uomo, ma che trascende se stesso, realizzando nuove possibilità della sua natura umana e per la sua natura umana”.
Huxley ribadì poi il concetto in un testo del 1957, New Bottles for New Wine, lanciando il motto: “I believe in transhumanism”. Il termine iniziò, tuttavia, a circolare, nella produzione letteraria di lingua inglese, solo qualche decennio più tardi e, soltanto a partire dagli anni Ottanta, divenne punto di riferimento di un variegato orientamento artistico e filosofico, di cui Natasha Vita-More con il suo Transhumanist Arts Manifesto tracciava nel 1982 le prime linee di fondo e Max More ne offriva una prima definizione, presentando il transumanismo, o transumanesimo, come “una classe di filosofie che cercano di guidarci verso una condizione postumana”. Nacquero, negli anni successivi, diverse associazioni dedite alla diffusione, applicazione e sperimentazione dei principi transumanisti, la più nota delle quali è la World Transhumanist Association fondata nel 1998 dall’economista inglese David Pearce e dal filosofo Nick Bostrom.
Quest’ultimo, più di altri, ha contribuito, nel corso del nuovo millennio, a delineare ideologie di fondo, obiettivi e strumenti del movimento. In “A History of Transhumanist Thought” (2005), presentando il pensiero transumanista come estrema filiazione dell’umanesimo, egli abbozza una genealogia che ne rintraccia i principali antecedenti nel Novum Organum di Francesco Bacone (1620), nell’empirismo inglese, nel razionalismo illuminista, e nella svolta darwiniana, tentando, così, di dimostrare che il “transumanesimo ha radici nell’umanesimo razionale”.
Ma a quali prospettive e principi si ispira, e a quali scopi mira, questo movimento? Nel 1993, in un fortunato articolo intitolato “Technological Singularity”, lo scrittore Vernor Vinge radicalizzava la prospettiva di Huxley, profetizzando: “Entro trenta anni, avremo i mezzi tecnologici per creare un’intelligenza sovrumana. Poco dopo, l’era umana sarà finita”. Non molto lontana da questa appare la prospettiva di Bostrom che, richiamandosi al libro di Eric Drexler Engines of Creation (1986), pronostica e auspica l’avvento di una “nanotecnologia molecolare”, ad oggi del tutto utopistica e secondo vari esperti impossibile, che “ci permetterebbe di trasformare il carbone in diamanti, la sabbia in supercomputer, o eliminare l’inquinamento dell’aria ed i tumori dal tessuto sano. Nella sua forma matura, potrebbe aiutarci ad eliminare la maggior parte delle malattie e l’invecchiamento, rendendo possibile la rianimazione di pazienti dalla crionica, consentendo la colonizzazione dello spazio, e – cosa più inquietante – portare alla rapida creazione di vasti arsenali di armamenti letali o non letali”.
Quest’ultimo pericolo non sembra però impensierire seriamente Bostrom, né scoraggiare la sua fede nei poteri taumaturgici di future ibridazioni tra i corpi umani e l’intelligenza artificiale. Egli è, infatti, fautore di un’altra “tecnologia ipotetica” che a suo dire potrebbe avere un “impatto rivoluzionario”: “l’uploading, il trasferimento cioè di una mente umana a un computer. (…) In caso di successo, la procedura comporterebbe che la nuova mente, con memoria e personalità intatta, sia trasferita a un computer su cui potrebbe esistere in forma di software, ma potrebbe anche vivere in un corpo di robot o vivere in una realtà virtuale” (Bostrom, 2005, cit.).
Se Bostrom colloca il “transumano” in questa cornice neo-futurista, e concepisce il transumanismo come movimento che dovrebbe promuoverne e sollecitarne l’avvio, egli ci tiene, tuttavia, a sottolineare che il suo avvento “non dipende dalla fattibilità di tali tecnologie radicali. Realtà virtuale, diagnosi genetica preimpianto, ingegneria genetica, farmaci che migliorano la memoria, la concentrazione, l’insonnia, e l’umore, sostanze che migliorano le nostre performance; interventi di chirurgia estetica, operazioni di cambiamento di sesso; protesi; medicina anti-invecchiamento; interfacce uomo-computer: queste tecnologie sono già qui o possiamo attenderle nei prossimi decenni. La combinazione di queste capacità tecnologiche, una volta mature, potrebbe trasformare profondamente la condizione umana” (ivi).
Emerge qui uno dei nodi e risvolti più inquietanti dell’utopia tecno-biologica: essa non si limita a pronosticare l’attuale o prossimo avvento di tali tecniche, capaci di modificare (resta da vedere in che direzione e con quali esiti) la vita umana, ma prevede, promuove ed annovera tra i principali strumenti di una presunta elevazione delle potenzialità della nostra specie, “l’eugenetica embrionale e prenatale, ovvero la selezione degli esseri umani «senza difetti e patologie» e l’eliminazione dei malati per via tecnica” (Elena Postigo Solana, “Transumanesimo e postumano: principi teorici e implicazioni bioetiche”, Medicina e Morale 2009/2). Di fatto, “il movimento transumanista e i sostenitori dell’eugenetica liberale, come ad esempio J. Savulescu, sostengono la liceità dell’elezione degli embrioni sani e la eliminazione di quelli con patologie gravi, e non gravi” (ivi). “È sempre Bostrom”, nota ancora Postigo Solana, “a precisare una distinzione tra un «transumano», che sarebbe un essere umano in fase di transizione verso il postumano, vale a dire, qualcuno con capacità fisiche, intellettuali e psicologiche «migliori» rispetto ad un «umano normale»; e un «postumano», che sarebbe un essere (non determina se naturale o artificiale) che ha le seguenti caratteristiche: aspettative di vita superiori ai 500 anni, capacità cognitive due volte al di sopra del massimo possibile per l’uomo attuale, controllo degli input sensoriali, senza sofferenza psicologica” (ivi). Si concentra, a sua volta, sull’utopia di una totale eliminazione del dolore umano e animale, attraverso i futuri sviluppi della farmacologia, della nanotecnologica e di una ingegneria genetica del benessere, David Pearce, cofondatore con Bostrom della World Transhumanist Association:
“Il presente manifesto delinea una strategia biologica per sradicare la sofferenza dall’intera vita senziente. L’agenda post-darwiniana è ambiziosa, incredibile, ma tecnicamente fattibile. In questo manifesto essa viene difesa su basi di utilitarismo etico. La nanotecnologia e l’ingegneria genetica ci consentono di mettere da parte il wetware ereditato dal nostro passato evolutivo. Possiamo riscrivere il genoma dei vertebrati, riprogettare l’ecosistema globale e abolire la sofferenza dall’intera estensione del mondo vivente” (David Pearce, The Hedonistic Imperative, 1995).
Pearce, in altre parole, come lo stesso Bostrom annota, sostiene “un ambizioso programma per eliminare la sofferenza negli animali umani e non umani per mezzo di neuro-tecnologia avanzata (a breve termine con farmaci, a lungo termine, forse, con l’ingegneria genetica). In parallelo con questo sforzo «in negativo» per abolire la sofferenza, egli propone un programma «in positivo» di «paradise engineering» in cui gli esseri senzienti siano riprogettati per consentire a tutti un’esperienza senza precedenti dei livelli di benessere” (Bostrom, 2005, cit.).
Viene in luce, a mio avviso, in questi esiti del pensiero transumanista, una loro radice: più che figlia dell’umanesimo e dell’illuminismo, di cui pure riporta alla luce tare ataviche, questa corrente di pensiero è propaggine di quel sogno sfrenato di controllo sociale della natura umana e non umana che caratterizzò il positivismo di fine Ottocento e il Neo-positivismo, accompagnando, come suo inno apologetico, il delirio di potenza che portò gli Stati occidentali verso le catastrofi dei regimi dittatoriali e delle grandi guerre della prima metà del Novecento. Ma l’ottica con cui i transumanisti guardano ai possibili sviluppi della società umana e delle scienze appare totalmente cieca nei riguardi dell’insostenibilità dei modelli di sviluppo attualmente vigenti su scala planetaria, e dei disastri e squilibri sociali ed ecologici che a ritmo crescente essi stanno causando.
La visione transumanista, in altre parole, dà per scontato che la linea di tendenza che ha portato ad un crescente progresso tecnologico, ad un controllo sempre maggiore dell’uomo sull’ambiente naturale, ad un livello sempre più alto di manipolazione della natura umana e non umana, possa continuare indisturbata nei prossimi secoli, senza tener conto dei danni irreparabili che, già a livello attuale, la miopia e il cinismo con cui tale controllo è esercitato ha prodotto e sta producendo. Scenario che il transumanismo, almeno nelle sue versioni più caratterizzanti, considera, in ultima analisi, auspicabile e foriero di nuove dimensioni di libertà per l’umanità. Esso prefigura non solo un enorme business del rifacimento tecnologico dei corpi, in parte già attivo, ma anche una nuova eugenetica in cui si può ben immaginare quale sarebbe il grado di libera scelta, non solo degli animali non umani, ma anche di quella massa immensa di esseri umani che vive, oggi non meno di ieri, esposta all’arbitrio di potentati privi di ogni scrupolo. Esso annuncia un possibile nuovo salto nelle tecniche di cattura del consenso di un potere basato sull’inebetimento generalizzato che i nostri mass media, in gran parte, hanno già realizzato.
“Sovrumanismo”, ovvero, l’anima nazifascista del transumanismo messa a nudo
“Se […] il transumanismo è una religione, la Valley è la sua Terra Santa. È lì che hanno sede «tutte le principali organizzazioni transumaniste» […] dalla World Transhumanist Association, dedita alla diffusione del verbo in ambito accademico, dal 2007 a Palo Alto, alla Singularity University, che lo integra ai tradizionali percorsi di studi. Cofondatore è Ray Kurzweil, convinto che l’immortalità fisica sarà realtà intorno al 2045, e nel frattempo Director of Engineering a Google. Che, non a caso, figura insieme a LinkedIn tra i finanziatori dell’istituto. Del resto, «Aubrey De Grey, massimo teorico mondiale del longevismo radicale – per il quale l’aspettativa di vita umana potrebbe essere portata a cinquemila anni – tiene regolarmente seminari negli uffici di Mountain View a beneficio dei vertici dell’azienda». Lo stesso a Yahoo. E i soldi? Non sono un problema, se tra i sostenitori più generosi del movimento spicca il cofondatore di PayPal, Pieter Thiel, tra i primi investitori di Facebook e oggi amministratore di un hedge fund da due miliardi di dollari, Clarium Capital”, scriveva Fabio Chiusi, nel 2014, recensendo sull’Espresso il volume di Roberto Manzocco Esseri Umani 2.0.
Se non è certo un caso che il transumanesimo abbia trovato nella Silicon Valley il proprio centro di irradiazione, e se ciò già dice delle sue finalità ultime, lo spazio specifico che tale movimento ha trovato nella periferica società italiana contribuisce, invece, a renderne esplicito un retroterra politico la cui impronta, pur evidente nell’oltranzismo eugenista dei capiscuola d’oltreoceano, era stata nei vari “manifesti” da essi redatta, formalmente, ma comunque esplicitamente, ricusata: la matrice nazi-fascista.
Ne è portabandiera, in Italia, una corrente, interna al transuumanismo, quella “sovrumanista”, esplicitamente ispirata al tecno-fascismo dell’“archeofuturista” Guillame Faye, a suo tempo fuoriuscito dal GRECE (Groupement de Recherches et Etudes pour la Cívilisation Européenne) e dalla Nouvelle Droite di Alain de Benoist, perché considerava troppo moderate e terzomondiste le loro posizioni.
Tra gli autori di riferimento dell’area, Giorgio Locchi, deceduto nel 1992, cofondatore con Alain de Benoist del GRECE (Groupement de Recherches et Etudes pour la Cívilisation Européenne) nel 1968, che in Espressione politica e repressione del principio sovrumanista (2006) scriveva: “non si comprende nulla del fascismo se non ci si rende conto o non si vuole ammettere che il cosiddetto ’fenomeno fascista’ altro non è che la prima manifestazione politica d’un vasto fenomeno spirituale e culturale, che possiamo chiamare ‘sovrumanismo’”.
Cardine del “‘principio sovrumanista’” era per Locchi il “rigetto assoluto” dell’“opposto ‘principio egualitaristico’” a suo avviso dominante nei sistemi liberal-democratici: “Se i movimenti fascisti individuarono il ‘nemico’, spirituale prima ancora che politico, nelle ideologie democratiche – liberalismo, parlamentarismo, socialismo, comunismo, anarco-comunismo – è proprio perché nella prospettiva storica istituita dal principio sovrumanistico quelle ideologie si configurano come altrettante manifestazioni, successivamente comparse nella storia ma tutte ancora presenti, dell’opposto principio egualitaristico, tutte tendenti in definitiva allo stesso fine, con diverso grado di coscienza; e tutte insieme causa della decadenza spirituale e materiale dell’Europa, dell’’avvilimento progressivo’ dell’uomo europeo, della disgregazione delle società occidentali” (ivi).
La corrente sovrumanista sembra essersi insediata, da qualche anno, saldamente all’interno dell’AIT (Associazione Italiana Transumanisti), una delle due associazioni italiane aderenti alla World Transhumanist Association, ed è in essa istituzionalmente rappresentata dal segretario nazionale dell’associazione, Stefano Vaj (pseudonimo di Stefano Sutti). Avvocato, pubblicista, responsabile per l’Italia del Sécretariat Etudes et Recherches del GRECE, e docente di diritto delle nuove tecnologie all’università di Padova, Sutti è autore, fra l’altro, del pamphlet razzista Per l’autodifesa etnica totale. Riflessioni su “La colonisation de l’Europe” di Guillaume Faye” (2001), e del volume Biopolitica (2005) che, giustamente, lo storico della scienza Paolo Rossi, nel suo Speranze (2008), definì “neonazista”. Il nome di Guillaume Faye viene evocato, nel suddetto scritto, innanzitutto in quanto emblema di una “contrapposizione frontale all’umanesimo” concepito come dottrina che ha introdotto nel pensiero occidentale il concetto di “Diritti dell’Uomo” e la pretesa di una sua validità universale. L’autore presenta come autentiche perle di saggezza e anticonformismo pronunciamenti di Faye in nulla diversi da quelle chiacchiere razziste da bar che sono oggi luoghi comuni ovunque dominino umori esplicitamente xenofobi come quelli leghisti in Italia, lepenisti in Francia, quali: “Non siamo noi ad aver distrutto le loro culture”, “il pauperismo di molti paesi del sud del mondo non è la conseguenza del colonialismo o del neo-colonialismo, ma dell’incapacità di farsi carico di se stessi” (cit in Faj, 2001, cit.). Su tali basi, Vaj, a propria volta, perora il tema dell’”autodifesa etnica totale” contro “la colonizzazione demografica che subisce l’Europa da parte dei popoli magrebini, africani ed asiatici e che si accoppia con un’impresa di conquista del suolo europeo da parte dell’Islam” (Faj, 2001, cit.).
“Autodifesa” che deve sostanziarsi, specifica l’autore, “in tutte quelle misure e reazioni immunitarie” che servono, non a governare, bensì a combattere “eventuali minacce di […] colonizzazione demografica e culturale del proprio spazio storico” e a “mantenere e sviluppare la propria omogeneità razziale” (Faj, 2001). Essa, suggerisce l’autore, seguendo l’insegnamento di Faye, non dovrebbe “fermarsi alla sfera giuridico-amministrativa. Il problema non può in alcun modo essere risolto solo a livello «poliziesco», o di controllo delle frontiere” (ivi). Esso può essere affrontato, “solo a livello di consapevolezza e mobilitazione sociale generale”, ovvero, fuor di metafora, promuovendo movimenti razzisti di massa e gruppi di attivisti capaci di “forzare molto più facilmente il quadro giuridico imposto dal Sistema e dalle ideologie dominanti, disgraziatamente oggi garantito a livello internazionale”, perché disposti a mobilitarsi per esercitare anche con la violenza la pulizia etnica, come a suo tempo avveniva nella Germania prenazista e nazista. Se l’autore rivendica l’islamofobia e l’antislamismo senza remore e veli di Faye, vero e primo “nemico”, per questo fautore di un nazifascismo cibernetico, “turbodinamico”, “archeo” o neo-futurista, resta ogni movimento, ogni pensiero, ogni discorso, ogni comportamento che critichi o ostacoli il “dominio dell’uomo sull’uomo” (ivi). Contro di essi, il sovrumanismo afferma l’utopia, al contempo, totalitaria e neo-liberista secondo la quale “in futuro la conservazione, l’evoluzione, o addirittura la nascita, di razze, lingue e culture diversificate avverrà solo in quanto frutto di una scelta deliberata in tal senso, che sola ne potrà determinare i contenuti e le caratteristiche, sulla base di valutazioni di natura essenzialmente estetica ed affettiva” (ivi).
Marco Celentano